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Sentenza commentata: Il “debito di sicurezza” continuo del datore di lavoro

09/01/2023

 

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Sentenza della Corte di Cassazione n. 33639 – anno 2022


Il “debito di sicurezza” continuo del datore di lavoro

 

EVENTO

Un lavoratore ha avviato una causa di mobbing e il Tribunale ha rigettato la domanda per carenze di prove riguardo alla strategia dolosa della società.
Inoltre, è stata respinta anche la richiesta di risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale (il primo per il mancato richiamo in giudizio/richiesta all'Inail, il secondo relativamente alla caratteristica propria del danno differenziale (dalla differenza tra quanto versato dall'Inail a titolo di indennizzo per infortunio sul lavoro o malattia professionale, e quanto è possibile richiedere al datore di lavoro a titolo appunto, di risarcimento del danno in sede civile).
La società, tuttavia, è stata condannata al risarcimento del solo danno patrimoniale per l'effettivo demansionamento del lavoratore. La Corte territoriale ha affermato che la liquidazione dell’indennizzo a carico dell’Inail si configura come una vera e propria condicio iuris, "presupposto legale", della domanda risarcitoria, in difetto della quale il danneggiato non può agire (come in questo caso) nei confronti del responsabile civile. Inoltre, viene aggiunto che il ricorso di primo grado non offre una precisa descrizione ed allegazione specifica del danno alla persona – configurabili come la durata della malattia o stati apprezzabili di sofferenze psichiche – che avrebbero potuto giustificare la richiesta del cd. “danno differenziale”.

 

RICORSO

(articolato in 4 motivi)
 

Il primo, il secondo ed il quarto motivo sono da valutare congiuntamente. La Corte territoriale ha precluso la possibilità di un’azione diretta nei confronti del datore di lavoro peri i danni non patrimoniali  e al danno cd. differenziale conseguenti a una malattia psico-somatica  e all'accertato demansionamento.
Il terzo motivo, con riferimento ad alcune testimonianze escluse, richiede una nuova valutazione dei vari elementi di prova acquisiti.

 

PREMESSA
 

Ai sensi dell'art. 10, comma 1, D.P.R. n. 1124 del 1965, l'assicurazione obbligatoria esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nell'ambito dei rischi coperti dall'assicurazione, con i suoi limiti oggettivi e soggettivi.
Parallelamente l'art. 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965, consente all'INAIL di agire in regresso nei confronti del datore di lavoro per le somme pagate a titolo di indennità
Laddove non intervenga la copertura assicurativa o quando venga accertato che un fatto, derivante da un infortunio o da una malattia, costituisca reato, la responsabilità civile del datore di lavoro permane ed il risarcimento è dovuto per la parte che eccede le indennità liquidate dall'INAIL (danno cd. "differenziale”).
Il danno differenziale si identifica come un danno risarcibile al lavoratore, ottenuto dalla differenza tra quanto versato dall’Inail a titolo di indennizzo per infortunio sul lavoro o malattia professionale, e quanto è possibile richiedere al datore di lavoro a titolo di risarcimento in sede civilistica.
Infatti, le prestazioni erogate dall’assicuratore sociale sono dovute in ragione del semplice verificarsi dell’infortunio, mentre il risarcimento presuppone non solo il verificarsi dell’evento dannoso, ma anche la sua configurabilità come illecito in quanto prodottosi a seguito di un comportamento colposo del datore di lavoro o di un terzo.
Il lavoratore, così, potrà richiedere al datore di lavoro il risarcimento del danno cd. "differenziale", allegando tutti i fatti che possano integrare gli estremi di un reato, ed il giudice dovrà accertarne l’esistenza in sede processuale.
Dopo aver accertato l’illecito e calcolato l'ammontare complessivo del danno civilistico, il giudice  procederà alla comparazione di tale danno con l'indennizzo erogato dall'Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo, oltre al danno patrimoniale, ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione unitaria di DANNO NON PATRIMONIALE.
Pertanto, occorrerà inizialmente distinguere, il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest'ultimo alla quota INAIL rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall'importo calcolato, a titolo di danno civilistico, è necessario detrarre il valore capitale della quota della rendita INAIL corrispondente al danno biologico permanente così da poter quantificare le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno esistenziale, danno morale ed eventuale danno biologico temporaneo) e quantificare il danno cd. "differenziale".

 

DECISIONE

Terzo motivo: Inammissibile

In quanto propone una diversa valutazione delle testimonianze che è estranea alla cognizione della Corte di legittimità.
 

Primo, secondo e quarto motivo: Ammissibili

La sentenza non è condivisibile perché ritiene la liquidazione dell’indennizzo a carico dell’INAIL come condizione legale (condicio iuris) per la richiesta della domanda risarcitoria nei confronti del datore di lavoro e, pur ritenendo l’illecito datoriale rappresentato dal demansionamento inflitto al lavoratore, non procede all’accertamento e alla liquidazione dei danni non patrimoniali sulla base dei principi di diritto richiamati.
Inoltre, è escluso che le prestazioni eventualmente erogate dall'INAIL esauriscano di per sé e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato.
Infatti, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore che nel caso dell'azione di regresso proposta dall'Inail, questa operazione di scomputo è da effettuarsi d’ufficio (ex officio), anche se l'INAIL non abbia concretamente provveduto all'indennizzo spettante, e deve essere gestita secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all'elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso.

Non può neanche essere condiviso il rilievo della Corte di Appello per cui il ricorso di primo grado non avrebbe illustrato ed allegato i “connotati di specificità” del danno “differenziale” alla persona, cioè qualificare e quantificare il danno subito.
Per la Cassazione, in materia di azioni di risarcimento del danno, occorre evidenziare, non la qualificazione formale, ma la natura e le caratteristiche del pregiudizio stesso.
Ragion per cui, è sufficiente esaminare la richiesta del lavoratore, dedurre le circostanze di un reato perseguibile d'ufficio e ricordare che anche la violazione dell'art. 2087 c.c. - norma di cautela avente carattere generale - sarebbe idonea per l’accertamento della responsabilità.
Infatti, sarà compito del giudice qualificare giuridicamente i fatti e richiamarli nella fattispecie penale, accertando autonomamente ed in via processuale la sussistenza del reato.
Inoltre, la domanda di risarcimento dei danni (patrimoniali e non patrimoniali) derivanti dall'inadempimento datoriale è onnicomprensiva, ovvero si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta, e non può essere considerata incompleta al punto da essere rigettata una domanda in cui si richieda l'intero danno.
Appare opportuno evidenziare che, pur essendo stato esclusa l’esistenza “di una volontà dolosa finalizzata all’emarginazione del lavoratore nell’ambiente di lavoro”, la responsabilità colposa del datore di lavoro, comunque, permane per i danni subiti dal lavoratore.
Come noto, le nozioni di mobbing, così come quella di straining, hanno natura medico-legale e non rivestono autonoma rilevanza ai fini giuridici; nella sostanza servono soltanto per identificare comportamenti che si pongono in contrasto con l’art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro.
Anche laddove non si riscontri il carattere della continuità e della pluralità delle azioni vessatorie o le stesse siano comunque limitate nel numero può comunque giustificarsi la pretesa risarcitoria dell’art. 2087 c.c. - (Tutela delle condizioni di lavoro)  "L'imprenditore e' tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarita' del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare  l'integrita' fisica e la personalita' morale dei prestatori di lavoro. - nel caso in cui si accerti che le condotte datoriali inadempienti risultino comunque produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore.
Il datore di lavoro è obbligato, secondo l’art. 28 del D.Lgs. 81/08, alla valutazione di “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004”.
E’ configurabile la responsabilità datoriale, a fronte di un mero inadempimento a titolo di colpa che si ponga in nesso causale con un danno alla salute, considerando le regole generali sugli obblighi risarcitori conseguenti a responsabilità contrattuale.
In conclusione, il giudice del rinvio dovrà accertare se da tale condotta del datore di lavoro, anche se colposa, siano causalmente derivati danni al lavoratore a contenuto non patrimoniale e provvedere alla loro liquidazione.

Sentenza-Mobbing_n33639_2022.pdf


Commento

La sentenza dimostra come in un’impresa sia fondamentale creare un sistema di prevenzione efficace ed efficiente.
Il datore di lavoro, attingendo dai termini tipici della contrattualistica, ha un “debito di sicurezza” nei confronti del lavoratore secondo gli artt.15, 28 del D.Lgs. 81/08 e l’art.2087 del codice civile.
Pur non essendo stata provata la volontà dolosa, è stata, comunque, accertata la responsabilità del datore di lavoro a titolo di colpa per il demansionamento subito dal lavoratore. Così, secondo l’art. 2043 del codice civile, accertando un danno derivante da un fatto colposo, il datore di lavoro è obbligato al risarcimento del danno di natura patrimoniale e, se viene dimostrata la violazione di una specifica norma di legge o di un diritto della persona costituzionalmente garantito (es. la tutela della salute), anche al risarcimento del danno di natura non patrimoniale, ai sensi dell’art.2059 del codice civile.
In questa prospettiva di progressiva rilevanza della dimensione organizzativa, quale fattore di rischio per la salute dei lavoratori, viene confermata l’obbligazione di sicurezza gravante sul datore di lavoro.


 

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